Venite a conoscere Massimo Borgatti e il suo progetto, lasciare dietro di sè il mondo che avrebbe voluto trovarsi davanti!
Da ingegnere gestionale ad appassionato formatore di ispirazione “zen”: in quale momento e perché hai deciso di cambiare direzione professionale?
La verità è che non ho una direzione professionale… ed è un gran sollievo!
Viste da fuori infatti la mia esperienza professionale, così come la mia intera vita, possono apparire discontinue, è vero. Eppure questo mio viaggio, vissuto e osservato dall’interno, è il più lineare dei cammini: passo dopo passo, un piede davanti all’altro, giorno dopo giorno.
Per rispondere alla domanda: non riesco ad individuare un momento preciso di “inversione di rotta”. Posso dire che in ogni momento mi ascolto per capire in che direzione camminare, mi affido ai piedi che in autonomia sanno dove poggiare, ogni passo mi offre opportunità nuove e le colgo, scelgo ogni giorno quello che voglio vedere, dove voglio mettere l’attenzione e stendo davanti a me il futuro verso cui dirigermi.
Ogni nuovo passo infatti apre nuovi orizzonti ai miei occhi e nuove opportunità di appoggio e di solidità a quello successivo. Ad ogni passo vedo più in là, trovo nuove sicurezze. I miei piedi sanno cosa fare, ho capito che non ho bisogno di controllarli. Così un po’ alla volta ho smesso di cercare sicurezze perché ho sentito di avere tutto dentro di me.
Dal momento in cui ho acquisito questa consapevolezza vivo in un flusso magico nel quale mi permetto di camminare fuori dal sentiero, senza più guardare a terra, senza più vacillare tra un appoggio e l’altro.. sento che sono i miei passi a creare il sentiero anche là, dove ancora nessuno era passato.
Ho inoltre capito che anche lo sguardo è importante: sento che è lui a creare la realtà che attraverso.
Quindi cammino puntandolo sul mondo che scelgo di creare, anche se la creazione arriverà qualche passo dietro di me. Ci vogliono resistenza e coraggio ma ho l’assoluta determinazione a lasciare dietro di me, dopo il mio passaggio, il mondo che avrei voluto trovarmi davanti. Poco importa se non sarò io a goderne, ho dei collaboratori di 25 anni e una figlia di 6 mesi!
Nella tua decennale esperienza di formatore hai guidato moltissimi manager di realtà industriali complesse in percorsi outdoor. Quale loro dimensione personale a tuo parere è uscita più “trasformata” da questa esperienza?
Credo di avere accompagnato molte persone a riaffacciarsi sul proprio io profondo, sul proprio sé, su una dimensione di intimità individuale spesso lontana e dimenticata.
Oggi essere manager non significa più avere competenze tecniche e gestionali, non basta studiare, aggiornarsi o fare formazione sui migliori stili di leadership. Tutto questo crea semplicemente l’immagine del manager e ne sviluppa l’ego.
Non è così che si sviluppa un essere umano vero, capace di portare fino in fondo le responsabilità affidategli con rispetto per se stesso, per i colleghi, per gli stakeholders, per l’ambiente e per i nostri figli.
Il manager vive spesso in disequilibrio all’interno di sistemi in disequilibrio: per non crollare deve impiegare energie nel tenere in piedi un’immagine di falsa stabilità. Questo equilibrio è reso ancor più precario dal vivere in “sistemi in disequilibrio”: le aziende nelle quali il manager lavora, impiegano energia per tenere in piedi un’immagine irreale frutto esclusivamente della comunicazione aziendale e del marketing.
I sistemi nei quali viviamo sono artefatti e falsi: la falsità richiede energia. Spesso i manager non si sentono efficaci quanto vorrebbero o non hanno quel benessere personale che almeno a parole ricercano. Perché? Perché vivono per sostenere un’immagine falsa all’interno di sistemi falsi e questo ruba loro energia. Dove c’è menzogna, l’energia non fluisce. Qualcuno diceva: “la verità vi renderà liberi”. Io lo urlo: solo la verità può renderci liberi!
Così, al di là di tutte le esperienze e le parole che arricchiscono i nostri corsi, il valore più grande è proprio nell’opportunità di sfiorare, almeno per un paio di giorni, la nostra verità.
Significa entrare in contatto con se stessi senza gli appigli dello status, della competenza, dell’urgenza; fare i conti con fattori essenziali come il silenzio, il buio, la solitudine, in un conteso naturale, vero, in equilibrio... Si tratta di un’opportunità di riappacificarci con quanto di più prezioso abbiamo: noi stessi.
Uno dei tuoi progetti è la realizzazione di un centro di formazione tra i boschi dell’Appennino Tosco-Romagnolo. Quale pensi possa essere il ruolo della natura nella ricerca di senso e di realizzazione personale e professionale?
La natura è prima di tutto un piano in equilibrio sul quale far muovere la propria anima senza dover sostenere immagini artefatte. La natura incontaminata è l’espressione assoluta dell’equilibrio dinamico, adattivo ed evolutivo.
Solo un sistema in equilibrio ci dà vera libertà di movimento.
Inoltre, la natura è fonte di ispirazione: osservarla ci insegna che “si può”.
Si può creare un mondo sostenibile, si possono sviluppare relazioni di vera sinergia, si può trovare un luogo e un tempo per ogni cosa, si può accettare lo scorrere ciclico del tempo e gli alti e bassi delle stagioni, si può guardare lontano dalla cima di una montagna o lasciarsi trasportare dall’acqua di un torrente, si può essere in pace anche se tira vento, ci si può flettere, si può danzare.
La natura è il coach migliore che possiamo desiderare: ci insegna che ci sono strategie e possibilità infinite per perseguire i nostri obiettivi (se questi sono in accordo con l’ambiente e rispettosi delle generazioni future).
Per concludere, la natura è un polmone infinito di energia al quale attingere direttamente. Per cambiare occorre energia, ecco allora che la natura è anche un potente alleato al nostro fianco quando ci servono sostegno e forza. Più ci allontaniamo dalla natura e più sviluppiamo rapporti di dipendenza energetica nella nostra vita professionale e privata.
Il sito della tua Società Esperio si apre sul quadro di Magritte “Ceci n’est pas une pipe”, per affermare che non siete una società di consulenza. In cosa pensi che la consulenza abbia tradito la sua vocazione di supporto allo sviluppo delle aziende e quali modi alternativi di evoluzione ritieni più efficaci?
Non so se la consulenza abbia tradito. So che le società di consulenza, come gran parte delle organizzazioni umane, impiegano energia per sostenere un’immagine irreale di se stesse, energia che in un modo o nell’altro viene “attinta” dal cliente.
C’è un solo modo per non sottrarre energia ai propri interlocutori, ed è quello di essere energeticamente indipendenti: come dicevo la soluzione sta nella verità e nella sostenibilità.
Voglio che ESPERIO sia vera e che siano veri i professionisti e i giovani che ne fanno parte. Non voglio vendere fumo o illusioni: alcune cose le sappiamo fare davvero bene, altre semplicemente non ci interessano.
Voglio che ESPERIO lasci tutto ciò che tocca un po’ più bello, più ricco, più forte e più autonomo. Ogni nostro intervento deve essere sostenibile in ogni senso!
In senso concreto questo si declina in alcune accortezze:
● Fin dai primi incontri del 2008, ci ritroviamo in mezzo alla natura, in un bosco o in un agriturismo e improntiamo i nostri meeting sulla conoscenza reciproca e sullo scambio profondo
● Pur Essendo una srl di 13 soci, non abbiamo costi fissi che ci obbligherebbero a fare cassa perdendo la focalizzazione su ciò che amiamo fare e che facciamo meglio
● Nessuno dei soci lavora in esclusiva per ESPERIO: così ciascuno deve mantenersi vitale ed autonomo. ESPERIO è libera da vincoli o doveri di alimentare di lavoro i partner
● ESPERIO crea opportunità a chiunque voglia esprimere il proprio potenziale o concretizzare la propria passione: che sia l’esperto consulente o che sia il giovane laureando
● Lavoriamo con entusiasmo sulle passioni dei nostri soci e associati, questo è il nostro focus
● Non abbiamo regole interne (se non quelle imprescindibili all’amministrazione della società) ma abbiamo creato e sottoscritto un codice etico estremamente “potente”. Seguirlo quindi non è un obbligo ma una scelta che va rinnovata quotidianamente.
Non abbiamo la presunzione di affermare che siamo meglio degli altri.
Ma sicuramente siamo diversi.
Il percorso formativo che proponi, “Sciamanager”, si qualifica come la via verso l’impeccabilità. In che senso questo si concilia con la promozione della dimensione più umana, e quindi naturalmente più imperfetta, del manager?
L’impeccabilità nella gestione dell’energia è “l’arte marziale” degli sciamani toltechi sudamericani. Esercitarsi nell’impeccabilità non significa essere perfetti così come praticare un’arte marziale non significa esserne padroni e maestri.
Si tratta di una via che abbraccia in toto l’imperfezione umana. E’ però una via che richiede una netta scelta di campo: scelgo di vedere me stesso come immagine sociale o come sistema energetico?
Siamo creature energetiche che hanno dimenticato la loro natura; per questo attraversiamo le nostre vite dedicando tempo, attenzione ed energia a coltivare un’immagine sociale irreale piuttosto che valorizzare al meglio il nostro potenziale.
Abbiamo dimenticato la nostra natura magica: l’impeccabilità è una disciplina (assai Zen) che può aiutarci a riscoprirla.
E per finire, regalaci un “impeccabile” saluto sciamano...
Mettiti qui, in piedi davanti a me, un po’ più vicino. Fai come me: la tua mano sinistra sul tuo cuore, la tua mano destra sulla mia mano sinistra, sul mio cuore. Ora io appoggio la mia mano destra sulla tua sinistra, sul tuo cuore.
Guardami negli occhi per un minuto, reggiamo lo sguardo non con sfida ma con supporto reciproco, entra in me fin dove vuoi e lascia che io entri in te. Siamo solo due creature magiche che entrano in contatto profondo prima di congedarsi.
Poi allontaniamoci in silenzio, qualunque parola non potrebbe aggiungere valore ai tuoi occhi nei miei occhi, al tuo cuore nel mio cuore.
Buon viaggio.